Foto di Alessandra Cenci- Monti della Tolfa
Viviamo in un mondo continua in accelerazione, siamo perennemente bombardati da stimoli di ogni sorta, siamo continuamente pressati dallo stress e dalla preoccupazione eppure la qualità della vita è cresciuta negli ultimi anni, ed è in generale migliore rispetto alla generazione passata. Che è successo? Il cambiamento dell’umanità negli ultimi anni è paragonabile a quello che prima accadeva in secoli, e non solo da un punto di vista climatico. La gente è diventata più reattiva e più insofferente, perché è più stressata. Il livello di stress è inversamente proporzionale alla nostra pazienza. Pochi anni fa è nato internet. Mentre la stampa nello scorso millennio per affermarsi, ha avuto bisogno di secoli, internet ha avuto bisogno di pochi anni. Sono due ere differenti. L’era pre-internet era l’era delle informazioni. Una generazione fa bastava un diploma per ottenere un lavoro di prestigio e ben retribuito, fino a una ventina d’anni fa una laurea, oggi non bastano due o tre lauree con annessi dottorati e specializzazioni. Le informazioni che oggi troviamo su internet, in modo spesso gratuito, dopo pochi minuti di navigazione, una volta si trovavano in mesi o anni. Siamo passati dall’era delle informazioni, all’era delle comunicazioni. Oggi in tempo reale, puoi ottenere qualsiasi informazione, da qualsiasi parte del mondo. Oggi se tutti abbiamo le stesse informazioni a portata di mano, quello che conta, è come le usiamo, sia verso l’esterno, ossia verso gli altri, sia verso l’interno, noi stessi. Come scrive Anthony Robbins “Da una cultura primariamente “industriale” si è passati ad una cultura della comunicazione. Nel mondo moderno quindi, la qualità della vita è determinata dalla qualità delle nostre comunicazioni, e ciò vale sia per ciò che pensiamo e diciamo di noi stessi, al nostro modo di muoverci e di comunicare con il mondo esterno.”. Da ciò ne consegue, che un mondo in costante evoluzione come il nostro, richiede una migliore adattabilità. Mentre grossi passi avanti si sono compiute nelle tecnologie, molti pochi passi avanti, si sono effettuati nei metodi di insegnamento. I metodi di insegnamento nelle scuole sono rimasti gli stessi della generazione dei nostri genitori, e perciò sono diventati anacronistici. Nella scuola né ai nostri figli, né agli insegnanti vengono date lezioni sulla comunicazione. Vengono ancora premiate le capacità di riportare le informazioni, non importa se imparate a pappagallo. Altro voto importante è quello della condotta. Non importa se lo studente “fa finta di ascoltare”, e purtroppo, chi per reale entusiasmo tende a fare domande al professore, viene spesso penalizzato. Questo ne consegue che la maggior parte degli adolescenti e degli adulti iniziano a diventare passivi e distaccati e perdono quel naturale entusiasmo che li caratterizzava da bambini. Poiché a scuola ci hanno insegnato che gli errori sono da evitare il più possibile, il nostro cervello ha cominciato a riprogrammarsi sull’evitare di sbagliare e sostituendo nei casi peggiori a quello entusiasmo spontaneo l’ indifferenza e l’ apatia. Eppure, imparare è un processo attivo e dipende spesso più dall’allievo che dal maestro. Il maestro può essere il migliore del mondo, ma se non siamo pronti ad imparare e a mettere in pratica i suoi insegnamenti, le sue parole sono vane. Un proverbio Zen dice che il maestro arriva, quando il discepolo è pronto. Imparare significa evolvere, vuol dire creare nuove sinapsi, collegamenti neuronali, nella corteccia cerebrale, ed attivarne in modo sinergico nuove aree. Oggi qualcosa sta cambiando significativamente. L’impiegato modello degli anni settanta seguiva meramente le indicazioni del suo principale, ora deve essere propositivo, deve saper lavorare in squadra. Si avverte la necessità di un cambiamento a vari livelli, ma purtroppo neanche le nostre università più prestigiose sono ancora pronte. Persino nel corso di laurea in medicina, nonostante i continui avanzamenti della ricerca, non sono previsti esami sulla comunicazione. Un medico deve essere consapevole che il suo modo di comunicare con il paziente, di essere empatico, può potenziare o addirittura ostacolare la sua terapia di guarigione. Anche se oramai sono noti questi effetti, non vengono ancora sufficientemente presi in considerazione. Anche se ora ci possiamo permettere più cose rispetto al passato, il malessere emozionale della nostra generazione, non era così acuto, nelle generazioni precedenti. Nel 2020 è previsto che la seconda patologia che avrà maggiormente impatto sull’assenteismo al lavoro, sarà la depressione. In passato non esisteva un così alto consumo di droghe, psicofarmaci ed alcool. Come scrive Deepak Chopra nel libro “Reinventare il corpo, risvegliare l’anima” “ I ricercatori hanno scoperto che i bambini che sono dipendenti da videogiochi, ipod internet, mentre sviluppano le abilità necessarie per accedere rapidamente alle informazioni, di contro risultano lenti in altre aree che sono preposte alla creazione di legami sociali ed alla capacità di rendersi conto delle emozioni”, e si intuisce che a lungo andare può diventare un comportamento rischioso. Le dipendenze da droghe, psicofarmaci, internet, ecc… si verificano perché gli strumenti che abbiamo oggi non funzionano più. Alla generazione precedente è stato insegnato che LAVORO, CASA, FAMIGLIA erano le tre mete fisse per star bene; oggi non hai più la sicurezza anche se le hai tutte e tre. Le difficoltà della vita, la precarietà del lavoro a volte rinforza i matrimoni o le unioni, ma molte volte le può spezzare. Essere un genitore oggi è più difficile che in passato. I figli vanno su internet, su facebook, devi imparare a gestire la tua emotività, devi imparare la sua lingua, leggere, informarti, altrimenti voi ed i vostri figli parlerete due lingue diverse, e si creeranno conflitti generazionali. Io vi dico che se perdete la sfida “rimarrete impantanati nella palude dello stress e frustrazione, ma se vincete, avete cento volte di più rispetto al passato la possibilità di migliorarvi! Un tempo il Q.I. era considerato il massimo dell’intelligenza; si diceva “E’ bravissimo a scuola, allora è intelligente”… salvo poi “suicidarsi da grande”. Da quando Goleman scrisse “L’intelligenza emotiva”, molte cose sono cambiate radicalmente. Oggi oltre al Q.I., esiste il Q.E. che è l’abilità di gestire le emozione. Buona parte del successo nella nostra vita pratica, deriva dal nostro quoziente di intelligenza emozionale che oggi in un colloquio di lavoro, comincia ad essere considerato di più, rispetto al Q.I. Vi do una bella notizia: l’intelligenza emotiva si può imparare. Oggi oltre agli psicologi, esistono nuove figure come i coach. Ho letto entrambi i libri di Roberto Re, che mi hanno appassionato, e pochi giorni fa ho partecipato ad un suo seminario a Roma. Questi appunti li ho presi da un suo seminario. Ebbene ci tengo a scrivere che lui è veramente una persona eccezionale, è un grande trainer, una persona molto carismatica e con un’intelligenza molto viva, ma allo stesso tempo anche una persona di estrema simpatia e semplicità. Sono stata al suo seminario ,dopo una giornata di duro lavoro, la sera dalle 20 alle 24,30. Vi dico che quelle ore per me sono volate, ed il giorno dopo pur avendo dormito poche ore ero molto energica. Lui non è il “guru che allieta gli stressati”, e chi va ai suoi seminari è gente già motivata di suo, con un quoziente medio altto e paradossalmente sono quelli che ne avrebbero meno bisogno. Vi voglio semplicemente dire con il cuore che chiunque di voi può vincere la sfida del cambiamento, ma dovete allenare il quoziente emozionale, e per questo dovete impegnarvi a dedicare più tempo anche alla vostra crescita personale, perché al giorno d’oggi se volete essere al passo con i tempi, non ne potete più fare a meno.
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